Poesia:
Farfalle -
di Rabindranath Tagore
     Farfalle
Se piove
non vedi farfalle
volare, nel piano.
Scomparse, nascoste ....Ma dove?
Dentro le primule gialle,
nel calice del tulipano...
Farfalle di cento colori
trovan rifugio nei fiori.
Rabindranath Tagore (Calcutta 1861 – Santiniketan 1941)
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Qui non ho visto nemmeno una farfalla -
di Pavel Friedmann
     Qui non ho visto nemmeno una farfalla
L'ultima, proprio l'ultima,
di un giallo così intenso, così
assolutamente giallo,
come una lacrima di sole quando cade
sopra una roccia bianca
così gialla, così gialla,
l'ultima,
volava in alto leggera,
aleggiava sicura
per baciare il suo ultimo mondo.
Tra qualche giorno
sarà già la mia settima settimana
di ghetto:
i miei mi hanno ritrovato qui
e qui mi chiamano i fiori di ruta
e il bianco candeliere del castagno
nel cortile.
Ma qui non ho visto nessuna farfalla.
Quella dell'altra volta fu l'ultima:
le farfalle non vivono nel ghetto.
Pavel Friedmann (Praga 1921 - Auschwitz 1944)
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La crisalide -
di Guido Gozzano
     La crisalide
Una crisalide svelta e sottile
quasi monile
pende sospesa dalla cimosa
della mia casa.
Salgo talora sull'abbaino,
per contemplarla,
e guardo e interrogo quell'esserino
che non mi parla.
O prigioniero delle tue bende,
pendulo e solo,
senti? il tuo cuore sente che attende
l'ora del volo?
Tra poco l'ospite della mia casa
sarà lontana:
penderà vota dalla cimosa
la spoglia vana.
Andrai, perfetta, dove ti porta
l'alba fiorita;
e sarà come tu fossi morta
per l'altra vita.
Guido Gozzano (Torino 1883 – 1916)
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La farfalletta -
di Luigi Sailer
     La farfalletta
La vispa Teresa
avea tra l’erbetta
A volo sorpresa
gentil farfalletta
E tutta giuliva
stringendola viva
gridava distesa:
"L’ho presa! L’ho presa!".
A lei supplicando
l’afflitta gridò:
"Vivendo, volando
che male ti fò?
Tu sì mi fai male
stringendomi l’ale!
Deh, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!".
Teresa pentita
allenta le dita:
"Va', torna all'erbetta,
gentil farfalletta".
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì.
Luigi Sailer (Milano 1824 – Modena 1885)
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Er camaleonte e la farfalla -
di Trilussa
     Er camaleonte e la farfalla
Un giorno la farfalla stanca de danzà ner cielo,
s'agnede a riposa l' ali, su 'n ber fiore de melo.
Nascosto tra le fronne er camaleonte la spiava,
lei se ne accorse e dall' arto lo disprezzava:
-che t'ho fatto- s' avvicinò, affranto dar dolore,
-sei n' poraccio perchè nun c'hai n' colore-
Lui ja rispose -vabbè ma c' ho n' anima e n' cervello-
e lei -ma sei solo e brutto, oggi conta solo quello.-
Goffo je s' avvicinò piano piano,
e sussurò fissandola un pò strano
- Ricordete, oh mia bella farfallona,
che ortre ad esse brava e bella, sei pure bona.-
Era proprio n' bocconcino appetitoso,
così je diede n' bacio cor linguone appiccicoso.
Nella vita nun basta esse bravo e bello,
devi ave core e n' pochino de cervello.
Trilussa (Roma 1871 – 1950)
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Alla madre -
di Bertold Brecht
     Alla madre
Quando non ci fu più, la misero
nella terra.
Sopra di lei crescono i fiori,
celiano le farfalle.
Lei era leggera, premeva
la terra appena.
Quanto dolore ci volle per farla
così leggera.
Bertold Brecht (Augusta 1898 – Berlino 1956)
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Le farfalle -
di Pablo Neruda
     Le farfalle
Le farfalle
ballano
velocemente
un ballo
rosso
nero
arancione
verde
azzurro
bianco
granata
giallo
violetto
nell'aria
nei fiori
nel nulla
sempre volanti
consecutive
e remote.
Pablo Neruda (Parral 1904 – Santiago del Cile 1973)
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La Farfalla nel Vino -
di Hermann Hesse
     La Farfalla nel Vino
Una farfalla è volata nel mio bicchiere di vino,
ebbra si abbandona alla sua dolce rovina,
remiga senza forze, ora sta per morire;
ecco, il mio dito la solleva via.
Così il mio cuore, accecato dai tuoi occhi,
felice affonda nel denso calice, amore,
pronto a morire, ebbro del tuo incanto
se un cenno di tua mano non compia il mio destino.
Hermann Hesse (Calw 1877 – Montagnola 1962)
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Le farfalle -
di Attilio Bertolucci
     Le farfalle
Perché le farfalle vanno sempre a due a due
e se una si perde entro il cespo violetto
delle settembrine l'altra non la lascia ma sta
sopra e vola confusa che pare si sbatta
contro i muri di un carcere mentre non è che questo
oro del giorno già in via d'offuscarsi
alle cinque del pomeriggio avvicinandosi ottobre?
- forse credevi d'averla perduta ma eccola ancora
sospesa nell'aria riprendere l'irragionevole moto
verso le plaghe che l'ombra più presto fa sue
dei campi vendemmiati e arati della domenica:
tu non hai che a seguirla incontro alla notte
come l'attendesti nel lume inquieto del sole
finché fu sazia del succo di quei fiori d'autunno.
Attilio Bertolucci (San Prospero Parmense 1911 – Roma 2000)
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Mimesi -
di Giampiero Neri
     Mimesi
Delle figure e dei fregi
si osservano sulle ali delle farfalle
e in altre specie diverse
ornamento e difesa insieme,
simili a cerchi e disegni
detti anche macchie ocellari,
sono una varietà di mimetismo
l'immaginario occhio di Dio che guarda.
Giampiero Neri (Erba 1927 )
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La falena -
di Franco Marcoaldi
     La falena
E la falena disse: cerco
anch'io come tutti,
una luce nella notte.
Franco Marcoaldi (Guidonia 1955)
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Ballerina -
di Corrado Govoni
     Ballerina
L’elegantissima vanessa
Che s’allontana e s’avvicina.
A questo fresco fiore di peonia,
è come una stupenda ballerina
che turbina magicamente
su un tappeto di fuoco e di profumo
sulla punta delle dita,
e, tra cuscini morbidi di rosa,
cade sfinita.
Eccola, s’avanza.
Tutta vestita di baci,
sulla peonia rossa di garanza;
agita i veli fantasiosi, e danza.
Corrado Govoni (Copparo (FE), 1884 – Anzio, 1965)
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Diacrisia -
di Roberto Mussapi
     Diacrisia
Alla lente le piccole setole apparivano
(piatte, a forma di paletta, disposte a embrice),
appoggiate l'una sull'altra come le tegole
della tettoia del giardino, ma subito
pensò al tetto della casa, e loro, al piano terra,
la lente dell'Oxford condensato e la piccola torcia
sul corpo immobile, non inanimato.
Qualcosa impercettibilmente vibrava,
non le quattro ali arancio, chiuse a scudo,
ma le antenne, immobili, tese a Oriente,
dove la lampada indiana proiettava il bagliore
roteante sul muro del giardino.
Lì l'aveva incontrata, attratta dalla luce,
euforica, sbattere le ali e il capo accecato
come ogni farfalla, ogni sera d'estate.
Ma lei era diversa, ritornava, inconfondibile,
tra la grande magnolia e il mandarino,
poi, lenta, in confidenza,
attorno alla stessa luce
che l'aveva chiamata una notte di mezza estate.
:
:
Roberto Mussapi (Cuneo, 1952)
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Prosa:
Un incantevole sogno di felicità -
di Lila Azam Zanganeh
     Felicità naturale e innaturale tratto da "Un incantevole sogno di felecità"
Per osservare più da vicino la gioia dell'entomologo, si può iniziare con l'immaginare Nabokov mentre esplora il terreno nelle sue variegate tenute... - da grazioso bambino con pantaloncini alla zuava e berretto alla marinara; da segaligno espatriato cosmopolita in brache di flanella e basco; da vecchio grasso, testa nuda e calzoni corti. A metà della sua settima decade, faceva escursioni anche di cinque ore, con soste a volte fino a tre ore per aspettare il manifestarsi - di una sola farfalla nel suo habitat naturale. Spesso, passanti e turisti lo osservavano, incuriositi dalla rete che aveva in mano, scambiandolo (almeno così scrisse lui in seguito) per un corriere della Western Union, o un eccentrico girovago. [...]
- Quante burle, quante congetture e domande mi toccava ascoltare quando, vincendo l'imbarazzo, attraversavo il villaggio con la mia reticella! "Questo è niente" diceva mio padre "avresti dovuto vedere la faccia dei cinesi una volta che cacciavo farfalle su una loro montagna sacra, oppure come mi guardò una maestrina progressista di Vernyj quando le spiegai cosa stavo facendo nel burrone. -
[...]
E sebbene non ci fosse nulla di mistico nella caccia alle farfalle, era lì, nelle radure delle sue avventurose ricerche, che trovò la felicità più intensa, e una delle sue migliori espressioni: "La gioia più grande dell'assenza di tempo - in un paesaggio scelto a caso - viene quando mi trovo tra farfalle rare e piante di cui esse si nutrono. E' quella l'estasi, e dietro l'estasi c'è qualcos'altro difficile da spiegare. E' come un vuoto momentaneo in cui si riversa tutto ciò che mi è caro. La sensazione di essere tutt'uno con sole e pietra. Un fremito di gratitudine rivolto a chi di dovere - al genio contrappuntistico del destino umano o ai teneri spettri che assecondano un fortunato mortale -.
Lila Azam Zanganeh
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Le farfalle -
di Eugenio Corti
     Le farfalle tratto da "Gli ultimi soldati del re"
Osservatorio Caterina: le farfalle.
Ne venivano spesso, aleggiando, a posarsi sui bordi di terra smossa della nostra trincea, forse per suggerne l’umidità. Un pomeriggio ne arrivò una particolarmente bella: era nero-velluto, striata di fuoco, con macchie bianche. La mia attenzione fu attirata dalla leggiadria di quei colori, i quali – mi resi conto – non erano disposti a caso: anzi anche un grande pittore soltanto in un momento di particolare grazia avrebbe saputo comporli con tanta arte.
La considerai attento: quanto a lei, certo, non era così per propria scelta, non sapeva neppure di essere una farfalla, non se ne accorgeva. Nemmeno d’esistere si accorgeva: esisteva e basta, e ferma sul bordo di terra della trincea muoveva ritmica le ali, come uno che respiri nel sonno, inconsciamente lieta del miracolo grande dell’estate di cui faceva parte. Quando però di lì a poco ne comparve un’altra della stessa specie, la farfalla si alzò in volo e prese a volteggiarle intorno, mostrando si sarebbe detto con intenzione all’altra i propri colori, ostentandoli, nascondendoli, ostentandoli di nuovo con somma grazia, come una provetta attrice.
Insetto, concretamento di qualcosa che la trascendeva infinitamente, anche lei come noi. Specchio – minimo come il luccichio d’un granello di sabbia al sole – della gioia e del colore che stanno nella mente di Dio. Una farfalla, mi resi improvvisamente conto, basterebbe da sola a dimostrare l’esistenza di Dio.
Godevo di quell’inattesa festa di colori. La gioia incomparabile che dev’esserci in Dio… Ecco, afferrai, ecco perché siamo stati creati noi uomini e gli angeli, chissà quanti miliardi d’esseri intelligenti e dotati di sensibilità: perché tutti si possa partecipare a una così incommensurabile gioia!
Prima però, riflettei, c’è la prova (che ci dà merito: per il quale non siamo solo passivi), e per noi terrestri c’è anche la morte. Già… Presto le due farfalle sarebbero morte. Con un’ombra di turbamento immaginai le spoglie di tutte le farfalle morte, povere cose gualcite e rotte che le formiche, moriture anch’esse, sul finir dell’estate frettolosamente trascinano via. Che bene, per noi, che le farfalle esistano. E com’è giusto che loro non si accorgano d’esistere (non si accorgano dunque neanche di morire…)
Eugenio Corti
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Voli -
di Elena Gianini Belotti
     cap.6 tratto da "Voli"
L'inverno di quell'anno era stato mite e secco, la primavera insolitamente calda e assolata, perciò le uova deposte dalle processionarie nell'estate precedente,
[...]
invece di essere uccise dal gelo o affogate dalla pioggia, si erano dischiuse in massa: miliardi di minuscoli bruchi erano venuti alla luce e lo sterminato, famelico esercito incolonnato in file serrate parallele, come fanti all'attacco, si era messo in marcia di buona lena, attirato dal verde brillante delle tenere foglie delle querce, appetitose come una fresca insalata.
Il primo allarme era venuto dai boschi di Monte San Savino: l'orda si muoveva con una specie di ottusa, inesorabile disciplina, dava la scalata ai tronchi, si spingeva su rami e rametti, si allungava sulle foglie e divorava la succosa polpa tra le nervature fino al picciolo, lasciando gli alberi spogli come nel pieno dell'inverno. Da principio, quegli animaletti non più lunghi di un centimetro, avvolti in una soffice pelliccetta a strisce bionde e brune, apparivano graziosi, delicati e del tutto innocui. Ma in pochi giorni avevano perduto ogni innocenza e, grazie al loro stomaco di ferro che macinava dall'alba al tramonto, crescevano a vista d'occhio fino a decuplicare la lunghezza, triplicare la circonferenza e assumere l'aspetto e il piglio di bulldozer lanciati a corna basse a distruggere l'intero creato. Grassi, ben pasciuti, implacabili, aggredivano un bosco dietro l'altro, e dopo il loro
passaggio non restava che una tetra desolazione.
...
Dal bosco saliva il crepitio di milioni di mandibole che trituravano le foglie, un rombo immane e terribile di sterminio che faceva vibrare la terra, simile al brontolio di un vulcano. Solo al calare del buio, fino al mattino dopo, piombava sui boschi, come un macigno, un silenzio innaturale.
...
All'improvviso, un pomeriggio, il cupo crepitio delle mandibole era cessato. Allora avevo capito che cosa fosse davvero il silenzio della natura. Era una calma sinistra, spettrale, un'assenza assoluta di suoni che atterriva, come se l'intero universo fosse diventato un immenso sepolcro. I bruchi pendevano a migliaia dai rami spogli delle querce, oscillavano appesi a un sottile filamento di bava, preparandosi a rinchiudersi nel bozzolo. Spesso il filo si spezzava, cadevano a terra e subito riprendevano a strisciare fino al tronco più prossimo. Quando avevo percorso la strada in macchina, il tetto ne era stato letteralmente ricoperto. Per molti giorni si erano arrampicati anche sui muri della casa fin sotto gli spioventi delle tegole e lì, in posizione riparata e dominante, s'erano avvolti nella loro bava come mummie nel sudario, nell'attesa di diventare farfalle.
Elena Gianini Belotti
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La rosa e la farfalla -
favola turca
     La rosa e la farfalla tratto da "Dizionario universale dei miti e delle leggende " di A. S. Mercat
Una rosa e una farfalla stavano litigando su chi fosse la migliore. La rosa disse: - Poverina! Com'è breve la tua vita! Oggi ci sei e domani non ci sei più! Io, invece, rimarrò sul mio stelo, aprirò i miei petali al sole e spargerò il mio profumo nell'aria. -
- Tu sei prigioniera, - rispose la farfalla, - mentre io posso volare di giardino in giardino. Inoltre, anche la tua vita è breve. Una tempesta potrebbe buttarti giù da un momento all'altro. -
La rosa replicò che almeno lei era bella, mentre la farfalla era solo un verme con le ali!
Mentre discutevano passò una donna e colse la rosa e un uccello mangiò la farfalla.
Morale: orgoglio e vanità spingono a credersi superiori agli altri, sebbene nessuno sia più importante di un altro, essendo soggetto, come tutti, alla vecchiaia e alla morte.
favola turca
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